Usa l’immagine del libro di Saint- Exupéry quando con il disegno del cappello lo scrittore francesce raffigura un boa che digerisce un elefante. Monsignor Savino parte da questa immagine per introdurre la sua lettera ai giornalisti nel giorno della festa del patrono San Francesco di Sales e ribadire la necessità, ai professionisti dell’informazione, di «far sentire la vostra voce».
«La vostra voce, amici e amiche giornalisti, – scrive il vice presidente della Cei e pastore della chiesa cassanese – è la parola, scritta, ricercata, amata odiata, sentita, insignificante e poliedrica. Quella stessa parola che rimbalza sui vostri articoli, che informa e deforma e trasforma, quella parola che, in un certo senso, può essere il riflesso della Parola se raccontata e narrata col cuore. Per questo, in occasione del Santo patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales, ho deciso di regalarvi la raffigurazione dello scrittore francese perché il cuore vi porti sempre a vedere oltre, a parlare oltre senza sconfinare nello sproposito ma cogliendo “altro”, quell’altro che declinato nell’informazione, è il senso del servizio che offrite con il vostro lavoro».
Parlando del lavoro dei giornalisti il presule lo sottolinea come «un dono che elargite per le comunità che abitate. Per parlare, scrivere e raccontare con il cuore, è necessario avere infatti a cuore le sorti dell’uomo». Per questo – ricorda Savino – «prendere a cuore la vita degli altri, significa assumersi la responsabilità di concorrere con i gesti e voi soprattutto con le parole, alla costruzione di una buona qualità della vita per tutti». Cosi il giornalista viene accostato alla figura biblica del buon samaritano «viaggiatore che si ferma a soccorrere il bisognoso». I giornalisti di un tempo, per trovare le notizie, consumavano le scarpe sulla strada, oggi si consumano gli occhi davanti ai monitor dei computer e per questo Papa Francesco «vi ha esortato a tornare nelle strade, ormai sempre più ignorate per le ragioni più varie come la pigrizia, l’indifferenza e l’intolleranza, per tornare invece a narrazioni più vere, più aderenti alla realtà, dei suoi protagonisti e dei loro bisogni».
«La chiave della buona comunicazione – aggiunge Savino – è l’attitudine del giornalista ad essere e farsi “prossimo”». Ma per vedere, osservare e cercare di capire «bisogna fermarsi. Questo vuol dire sottrarsi alla dittatura della fretta e abitare invece il tempo e lo spazio della riflessione, fare domande, perché il giornalista deve essere il custode delle notizie, al cui centro non ci sono la velocità nel darle e l’impatto sull’audience, ma le persone».
Cosi ribadisce il vice presidente della Cei «un giornalismo che scrive con il cuore si pone alla ricerca delle cause reali dei conflitti, una responsabilità che chiede di educarci continuamente al discernimento, alla verifica, all’approfondimento». Il giornalista che vuole seguire questo modello di professionalità deve «toccare e per toccare deve sporcarsi le mani, cioè scrivere con coraggio, anche o soprattutto, andando controcorrente».