Nove anni fa scampò alla prima sentenza di morte. Una mano omicida provò a fargli pagare qualche sgarro, ferendolo con quattro proiettili che però non bastarono ad ucciderlo. Si salvò e continuò la sua vita nel sottobosco criminale della Sibaritide. Il nome di Maurizio Scorza, 57 anni originario di Cassano ma residente a Villapiana insieme alla compagna di origine tunisina H.H. 38 anni uccisa anche lei nell’agguato di ieri in contrada Gammellone a Cammarata di Castrovillari, più volte era stato citato in informative di polizia giudiziaria senza, però, mai vedersi imputato accuse concrete ne tantomeno condanne.
Sebbene gli inquirenti indaghino a 360 gradi non lasciando esclusa nessuna pista investigativa, la sua morte ha tanti indizi che potrebbero ricondurla ad una vendetta collegata alla criminalità organizzata.
“U cacaglio”, questo il suo nome criminale, già titolare di un supermercato, aveva lavorato per anni come bracciante agricolo e per lo Stato italiano era a tutti gli effetti un pensionato. Dopo un primo matrimonio nel quale aveva avuto tre figli, ora era legato sentimentalmente alla tunisina che con lui è rimasta vittima dell’agguato consumato quasi sicuramente a distanza da contrada Gammellone. E anche questo dettaglio è uno degli elementi da scandagliare bene per capire chi e perchè si assunto il rischio di trasferire la Mercedes con a bordo i due cadaveri (quello di Scorza nel bagagliaio insieme ad un capretto morto) dal punto della sparatoria fino al posto in cui sono stati fatti ritrovare ai margini di un frutteto.
A colpirli a morte, secondo una prima ricostruzione, sarebbe stato un sicario (o forse più di uno) che a differenza dei delitti di ndrangheta consumati nella piana di Sibari in precedenza, non avrebbe usato la firma del kalashnikov ma una calibro 9: i segni dei colpi sui corpi delle vittime e sull’auto sono la traccia evidente di quanto efferato sia stato il delitto.
Di Scorza si parla come “spacciatore al servizio del clan degli zingari” secondo quanto dichiara il pentito Pasquale Perciaccante, addirittura con l’incarico di trattare l’acquisto di grossi quantitativi di droga dai clan del reggino. Ma il suo nome si affaccia anche nella vicenda drammatica che ha segnato gli ultimi anni della Sibaritide: l’omicidio di Cocò, suo nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna Ibtissam Touss.
Potrebbe infatti esserci un collegamento tra la sparatoria del 2013 in cui venne ferito Maurizio Scorza a Via dell’Industria a Castrovillari e Giuseppe Iannicelli. Una intercettazione all’epoca parlò del fatto che «chi ha sparato a Maurizio deve morire». Un filo rosso che oggi ritorna d’attualità se si pensa che la masseria in cui vennero ritrovati il 16 gennaio del 2014 Iannicelli, la sua compagna e il piccolo Cocò nell’auto ancora fumante, si chiamava “Scorza”. Suggestioni o forse tracce evidenti di collegamenti criminali sui quali si ragiona per ritrovare le tessere di un mosaico complesso e articolato che diventa oggi, alla luce del duplice omicidio di ieri, un rebus sempre più complesso da decifrare.
Chi e perchè ha armato la mano che ha ucciso Scorza e la sua compagna voleva definire la sentenza di morte già pronunciata nel 2013 oppure si tratta di tutt’altra vicenda che ha punito a morte “U cacaglio”?