Lions Club: il Premio Arberia conferito al magistrato Francesco Minisci

premio arberia lions

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E’ stato conferito, nei giorni scorsi dal Lions Club Arberia al magistrato Francesco Minisci il prestigioso Premio Arberia. Originario di San Cosmo Albanese, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, sempre in prima linea nella lotta al terrorismo e sulle infiltrazioni mafiose di ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra, ha ricoperto per due anni il ruolo di presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. La cerimonia di conferimento del premio, raffigurato nella sintesi perfetta di un’opera del Maestro del Vetro, Silvio Vigliaturo, si è svolta presso l’Accademia dell’Arte e della Musi-ca di Santa Sofia d’Epiro, al cospetto del Presidente della IX Circoscrizione, Achille Morcavallo, del sindaco del borgo arbëreshë, Daniele Atanasio Sisca, e del Presidente del Club, Francesco Perri, che ha dichiarato: “Abbiamo deciso di adottare il progetto sulla legalità, indicatoci dal nostro Governatore tra le varie attività programmate in questo mandato, perché è attraverso la sensibilizzazione e la promozione di alti esempi, come quello del compianto giudice Livatino o del nostro premiato, Francesco Minisci, che si può impiantare nella società quel seme di sviluppo sociale e civile che come Club cerchiamo di stimolare attraverso le nostre opere quotidiane e il nostro servizio verso l’altro”. “Gli arbëreshë non de-vono dimenticare mai le proprie radici – ha affermato Papas Pietro Lanza”. “Per questo –ha aggiunto- sono importanti momenti come quelli che vedono assegnare ad un’eccellenza professionale dell’Arberia un riconoscimento di così alto valore, come quello che i Lions hanno inteso conferire al magistrato Francesco Minisci. Un uomo della nostra terra, che ha saputo coniugare i valori assunti nella propria famiglia e nella sua comunità, trasferendo in altri luoghi quegli esempi fulgidi e quel modo trasparente e sincero di intendere il proprio vissuto e il proprio operare quotidiano nelle aule dei tribunali”. In questa seconda edizione, il Premio Arberia ha registrato anche un interessante dibattito incentrato sulla figura, i valori e le virtù del giudice Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre 1990 a Canicattì, che ancora oggi rappresenta fortemente un monumento e un esempio fulgido di come si deve svolgere il fondamen-tale lavoro di operatore della magistratura. Il talk, condotto dal giornalista Valerio Caparelli, è stato con-trassegnato dagli interventi del giudice Francesco Minisci, del Vicario dell’Eparchia di Lungro, Papas Pietro Lanza, e del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, Domenico Airoma, pe-raltro vice presidente del Centro Studi Rosario Livatino e autore del libro “Un giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, la toga e il martirio”. “Livatino –ha dichiarato Airoma- era un uomo generoso e disponibile, ma soprattutto un grande esempio di umanità e professionalità ornata di forti valori etici e da una compostezza decisamente fuori dal comune”. “Mai –ha proseguito- il suo lavoro, le sue indagini, i suoi processi erano espressi o esaltati in eclatanti conferenze stampa o in attività spettacolari che ren-dessero visibile o particolare il suo operato. Lui operava in silenzio e con il pudore degli uomini saggi. Livatino è il testimone più alto e credibile di come si deve vivere la giurisdizione, da vivere secondo i criteri che deve rappresentare e non per esercitare potere o per il raggiungimento di secondi fini, perso-nali o ideologici. L’unicum di Rosario Livatino, per cui possiamo parlare di modello Livatino, è rappre-sentato sul fondamento ultimo dell’autorità del magistrato, che è, probabilmente, la vera questione mo-rale della magistratura”. “Che sia credente o non credente – ha concluso il magistrato -, il giudice, nel momento del decidere, deve dimettere ogni vanità e ogni superbia, così come deve avvertire tutto il peso del potere affidato nelle sue mani, peso che è tanto più grande quanto il potere che esercita in libertà ed autonomia. Compito che sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie de-bolezze, senza atteggiamenti da superuomo”.