Legge sui tartufi, evitare l’accorpamento delle denominazioni: cavatori del Pollino incontrano Abate

Abate tartufi IMG 2013

Abate tartufi IMG 2013

 

Resta alta l’attenzione in merito alla questione della nuova legge sui tartufi attualmente in discussione in Commissione Agricoltura al Senato. Nel nuovo testo nato dalla congiunzione dei disegni di leggi numero 810, 933 e 918 risulta che all’articolo 6, nell’elenco delle specie che possono essere raccolte e destinate al consumo, vengano identificate, riportandone il nome specifico, soltanto quelle Umbre e Piemontesi. Un utilizzo della nomenclatura scientifica pericoloso se fatto in una legge dello Stato perché rischierebbe di tagliare fuori tutte quelle presenti nel vasto territorio nazionale, soprattutto quelle del Sud, e in particolare il Tartufo del Pollino che attraverso un percorso istituzionale sostenuto dal Comune di Castrovillari e dal Parco nazionale del Pollino, insieme al Cnr di Perugia in collaborazione con l’Arsac e le associazioni dei tartufai, sta completando una ricerca ad ampio raggio per definire le specie di tartufo presenti su tutto il territorio del Parco.

Nei giorni scorsi la senatrice Rosa Silvana Abate della commissione agricoltura ha incontrato il sindaco della città di Castrovillari, Domenico Lo Polito, e alcuni tartufai per illustrare il percorso che l’ha spinta, insieme al collega presentatore di uno dei tre disegni di legge confluiti poi nel testo unificato, all’epoca (gennaio 2020), a presentare una serie di emendamenti abrogativi al suddetto articolo 6 per evitare l’accorpamento delle denominazioni. Una mossa che allora bloccò la prosecuzione dell’iter in commissione.

Ma, secondo le ultime notizie, la discussione dello stesso potrebbe riprendere entro breve ed essendo che, a causa della formazione del Governo Draghi, si è formata una pericolosa maggioranza bulgara in Senato e, dunque, anche in Commissione, se arrivasse all’approvazione della legge così com’è, causerebbe gravi danni a tutti quei territori e a quelle economie in cui si coltivano e raccolgono tartufi ma le cui zone non verrebbero citate nel testo della legge. Si andrebbero a distruggere esperienze come quella che punta a valorizzare il Tartufo del Pollino.

Il rischio di un danno al lavoro fatto sul territorio è reale. Già il boom di questo fungo, che si è avuto alla fine degli anni Novanta aveva prediletto la diffusione di quello del Nord e del Centro Italia. La modifica del nome decreterebbe la fine di una eccellenza calabrese e lucana senza, peraltro, avere alcuna ripercussione positiva sull’economia del territorio. Il lavoro di ricerca sul tartufo del Pollino ha evidenziato che l’ecotipo nero e bianco non hanno nulla da invidiare alle altre specie note del Centro e Nord Italia. Anzi, ci potrebbe essere una variante tipica proprio di queste aree poste al confine tra Basilicata e Calabria, non rinvenibile in altri territori italiani.

Circostanze, queste, che fanno capire ancora di più quanto sia importare continuare la battaglia fatta in commissione Agricoltura se l’iter di approvazione del testo unificato del ddl sui tartufi (che dovrebbe andare a sostituire la vecchia legge 752 risalente al dicembre del 1985) dovesse riprendere con quelle premesse. «L’occasione – ha concluso la Abate – è servita anche a richiamare associazioni, cavatori e sindaci al fine di affiancarmi in questa battaglia che ci aspetta. La Calabria è piena di uomini e donne che lavorano quotidianamente e con determinazione per il rilancio di questa meravigliosa ma maltrattata regione con l’obiettivo di dare la possibilità ai nostri giovani di rimanere o ritornare per poter vivere e lavorare nella propria terra. Compito della politica, quella sana ed onesta, è adoperarsi per rendere possibile sempre più la nascita di nuove realtà produttive quali questa del tartufo del Pollino può diventare. Io ci sono e sono disposta a fare, se necessario, anche le barricate per evitare che la nuova legge sui tartufi venga approvata così come è ora perché, favorendo l’accorpamento della nomenclatura per le specie di vendita, cancellerebbe la tipicità e la specificità di tanti territori situati non solo in Calabria e in Basilicata ma in tutta l’Italia».