Italcementi: a Castrovillari solo centro di macinazione. Sindacati: inaccettabile. Si prepara la mobilitazione

italcementi tavolo lavoratori

italcementi tavolo lavoratori

 

CASTROVILLARI – Ha un finale drammatico il tavolo di confronto romano tra i sindacati italiani e la proprietà di Italcementi. Per gli stabilimenti di Castrovillari e Salerno ci sarebbe da pagare il prezzo più alto nel piano industriale presentato dalla proprietà bergamasca. Giovedì scorso, il sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Teresa Bellanova, al tavolo di confronto tra l’azienda del cemento italiano, i sindacati nazionali e territoriali, le Rsu convocate, discutendo dalla possibilità di proroga della cassa da parte del Governo aveva chiesto alla proprietà un piano d’investimenti. Ma nella proposta presentata ieri a Roma presso il Ministero dello Sviluppo Economico alle parti sociali Italcementi ha chiaramente espresso la volontà di trasformare definitivamente Castrovillari in un centro di macinazione e di voler chiedere, dunque, la cassa integrazione straordinaria per l’opificio del Pollino come centro di macinazione. Di fatto – dunque – il forno spento già da troppo tempo nell’idea aziendale rimarrebbe spento per sempre. Una condizione «inaccettabile» – ha dichiarato senza mezzi termini Antonio Di Franco, segretario generale comprensoriale della Fillea Cgil – di ritorno dal confronto romano con un fardello pesantissimo da comunicare stamane ai lavoratori nell’incontro previsto in azienda a Castrovillari. «Si deve percorre la strada della cassa integrazione senza trasformazione dell’opificio» – commenta a caldo il sindacalista – il quale ribadisce che ora «tutta la coalizione sociale messa in campo nei giorni scorsi deve far sentire ancor di più la propria voce». Si presume, infatti, che da domani sul territorio scatteranno scioperi e presidi di protesta per evitare questo ennesimo scippo che vedrebbe «pagare ancora una volta solo il Sud». Nella politica dell’azienda, infatti, Castrovillari e Salerno dovrebbero «dire addio a due fabbriche». Una condizione assolutamente rigettata al tavolo di trattative dai sindacati che sottolineano come «a questo punto lo sforzo dei parlamentari per la concessione dell’articolo 42 è fondamentale» per tentare di tenere ancora in vita lo stabilimento ed i suoi operai. La novità ha fatto precipitare nel baratro il tavolo di confronto al quale ovviamente non si è trovato l’accordo con l’azienda bergamasca, rappresentata da Silvestro Capitanio, responsabile del personale, e Giuseppe Agate della direzione aziendale. Ora l’ultima spiaggia è la riunione del 3 dicembre, sempre a Roma, presso i Ministeri competenti, ma il territorio già si prepara a difendere con i denti i posti di lavoro di un presidio storico.