Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Castrovillari, tra i primi in Italia a discostarsi, nonché a disapplicare la pronuncia delle Sezioni Unite n° 4667/2021, in materia di assistenza ai sensi dell’art. 33, comma 5 Legge 104/1992, relativamente ai trasferimenti del personale scolastico, ha accolto il ricorso proposto dal docente V.V.L., rappresentato e difeso in giudizio dall’ avvocato Vincenzo Maradei, ordinando e disponendone il trasferimento, anche in soprannumero. A darne notizia è il segretario generale del Sab, Giovanni Fiorentino, il quale entra poi nel merito della questione. “Il Tribunale di Castrovillari – è scritto in una nota del Sab- riconosce il diritto di precedenza nelle operazioni di mobilità territoriale al docente che assiste il coniuge convivente disabile in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3 comma 3 Legge n.104/1992 e ordina al Ministero dell’Istruzione il trasferimento della parte ricorrente anche in soprannumero presso gli istituti viciniori alla propria residenza con diritto di precedenza ai sensi dell’art. 33, comma 5 L. 104/1992 in ragione delle preferenze indicate nella domanda di mobilità”. “Il Giudice –si legge ancora- condividendo le argomentazioni difensive dell’avvocato Vincenzo Maradei, ritiene fondato il ricorso e lo accoglie nei termini che seguono ricostruendo il quadro normativo di riferimento al fine di verificare se il diritto di precedenza, riconosciuto dalla legge ai soggetti che assistono persone disabili (nel caso di specie, appunto, coniuge convivente disabile in situazione di gravità), sussista anche nelle ipotesi di mobilità interprovinciale. La legge 104/1992, all’art.33, comma 5 e successive modifiche, statuisce che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (…) “ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede”. A sua volta, l’art. 601 d.l.vo 16.4.1994 n. 297 – testo unico in materia di istruzione – stabilisce che “gli articoli 21 e 33 della legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate si applicano al personale di cui al presente testo unico” (co. 1) e che “le predette norme comportano la precedenza all’ atto della nomina in ruolo, dell’assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità” (co. 2). L’interpretazione si giova dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale, con i quali è stato chiarito che la L. 104/1992 ha sicuramente un particolare valore, essendo finalizzata a garantire diritti umani fondamentali, e tuttavia l’istituto di cui al cit. articolo 33, comma 5, non è l’unico idoneo a tutelare la condizione di bisogno della “persona handicappata”, né la stessa posizione giuridica di vantaggio prevista dalla posizione in parola è illimitata, dal momento che, anzi, la pretesa del parente della persona handicappata a scegliere la sede di lavoro più vicina è accompagnata dall’inciso “ove possibile” (C. Cost. n. 406 del 1992, n 325 del 1996, n. 246 del 1997, n. 396 del 1997). Nel più recente intervento sulla norma, è stato specificatamente precisato che la possibilità di applicazione può essere legittimamente preclusa da principi e disposizioni che, per la tutela di rilevanti interessi collettivi, non consentano l’espletamento dell’attività lavorativa con determinate dislocazioni territoriali (C. Cost. n. 372 del 2002). Le posizioni espresse dal Giudice delle leggi hanno ispirato l’orientamento della Suprema Corte, che ha ribadito il principio secondo cui il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio non è assoluto e privo di condizioni, in quanto l’inciso “ove possibile” richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, con il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto in tali casi – segnatamente per quanto attiene i rapporti di lavoro pubblico – potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass.829/2001, 12692/2002 e da ultimo, Cass. Ci. Sez. Unite Sent., 27.03.2008, n. 7945). La questione del contendere riguarda la nullità o meno del CCNI ai sensi dell’art. 1418 c.c., stante imperativa della normativa di cui alla L. 104/1992. Pur non essendo prevista, infatti, un espressa sanzione di nullità per violazione dell’art.33, comma quinto L. 104/1992, la natura imperativa di tale disposizione è comunque evincibile dalla ratio legis di essa e dalla sua collocazione all’interno di una legge contenente “i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale ed assistenza alla persona handicappata” ed avente come finalità la garanzia del pieno rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà ed autonomia della persona handicappata, la promozione della piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; la prevenzione e la rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; il perseguimento del recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, l’assicurazione di servizi e di prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata; la predisposizione di interventi volti a recuperare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata (cfr. art. 1 L. 104/1992); evidenziato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, set. N. 7945 del 27.03.2008. Il rilievo, anche costituzionale dei diritti che l’art. 33, comma 5 L. 104/1992 è diretto a tutelare e rende evidente che la norma in questione costituisce norma imperativa, la cui violazione da parte di disposizioni contrattuali comporta la nullità di queste ultime ai sensi dell’art. 1418 comma primo c.c. con conseguente disapplicazione, e peraltro il Giudice non giustifica l’ulteriore disparità di trattamento tra personale che partecipa alla mobilità provinciale e quello che partecipa alla mobilità interprovinciale, essendo tale distinguo estraneo alla disciplina normativa nazionale e comunitaria”. Dal canto suo, il Sab “confidando che questa pronuncia possa contribuire ad una evoluzione della giurisprudenza in materia, esprime grande soddisfazione per il riconoscimento di un diritto garantito dalla Costituzione, art.3 “principio di uguaglianza”, il quale nel “rimuovere gli ostacoli“ intende conferire un chiaro indirizzo legislativo di valenza superiore della legge rispetto ad un CCNI rappresentando, lo stesso diritto, una parte fondamentale del processo democratico della nostra società”.