CASTROVILLARI – E’ un mondo immaginario, che proietta verso una realtà che tende a guardare verso i confini dell’esistenza. In quel limbo di relazioni dove l’amore, ma anche solo il dialogo, può degenerare e diventare possesso. Ma forse non è poi così lontana la realtà brillantemente e crudemente portata in scena dalla compagnia Ragli nello spettacolo “The speaking machine” per la regia di Rosario Mastrota sul testo di Victoria Szpunberg per il Progetto Europe Connection. Una casa alcova e prigione allo stesso tempo dove i personaggi, tutti lucidamente disegnati e interpretati da Dalila Cozzolino (suprema), Antonio Monsellato e Antonio Tintis, si confrontano e si scontrano, si offendono e si amano. Interagiscono in quadro domestico che non è poi troppo lontano dalla lucida follia di chi trasforma le relazioni in macabro disegno di possedimento, annullando la volontà personale di chi ti vive affianco, assoggetandolo ad un bisogno di appaggamento che va ben oltre la lucidità dell’amore o del piacere. E’ un progetto nitido e surreale, che sembra richiamare alla mente la cronaca dei giorni contemporanei dove l’amore diventa malato e sfocia nella violenza che non sa riconoscere l’essenza di ciò che abbiamo di fronte. Il sentimento che anima i corpi, la volontà che esprime desiderio, lo sguardo che attende umanità. Così tutto diventa oggetto, anche l’amore, che ben presto trasforma il carnefice in vittima di un disegno altro, ben più lucidamente crudele e sadico, nel gioco delle parti di chi asseconda le perversioni altrui per acquisire potere, spazio, supremazia, libertà. Tutto si consuma tra le mura di una casa che è santuario di onnipotenza, stanza dei giochi amorosi, spazio di vitale brutale che fa sentire vivi, apre i confini al piacere, sa mascherare le perversioni rendendole intime, quasi tenere, accettabili. La ritmica è splendida, sinuosa come le gesta di chi si offre con sano e amorevole assenso, prima di richiamare la memoria alla libertà perduta, desiderata, sognata, vissuta. E’ così che il gioco esplode, non accetta le regole, ne vuole di nuove, ne ha bisogno per vivere, andare oltre e superare i confini di una decenza che non è mai lussuriosa ma sa essere piacevole e accondiscendente. Ma a volte il gioco si rompe, scoprendo la verità di ciò che siamo e non abbiamo mai avuto il coraggio di dire. Esce dal desiderato e arriva al desiderabile, che è la vita vera, che a volte ferisce e inganna ma spesso apre il confine della prigione e sa regalare la speranza di poter interrompere la brutalità verso noi stessi e gli altri e ricostruire dalle macerie violente una casa nuova, altra, felice.