CASTROVILLARI – Ironico, drammatico, brillante, malinconico. Profondamente introspettivo, capace di emozionare, rilfettere, sorridere. Di psicoanalizzare l’attorialità del personaggio in un eterno dialogo di sguardi e prospettive con il pubblico, che partecipa – pur restando seduto alle poltrone – senza saperlo a volte ad una drammaturgia che del Macbeth di Shakespeare sottolinea i vizi e le virtù, i pensieri ed i drammi interiori. E’ l’uomo moderno con le sue contraddizioni, la voglia di apparire, la necessità di essere ad irrompere sulla scena, nel gioco di sguardi con lo specchio o con un telefono che ripropone l’urgenza di un contatto con la realtà spesso fuggita, rifiutata. Ma che ritorna, sovrasta la scena, la interrompe e la corrompe. E’ un personaggio tanto lucido quando ludico quello che Paolo Mazzarelli presenta nella prima nazionale del festival primavera dei teatri. Nello spettacolo c’è la vanità, l’ambizione, la follia ed il potere, ma anche la malinconia, la debolezza, la crudele armonia del voler essere e del non poter avere. E’ un viaggio dentro se stessi, alla fine dei pensieri, che sovrastano, ammaliano, ma anche affondano nella quotidiana ricerca di sè. In un rapporto con se stessi che va cercato, combattuto, assaporato e capito. Non è sempre facile guardarsi allo specchio, capire le proprie paure, saper generare nuove partenze dopo i fallimenti. Insomma c’è l’umano con tutta la sua potenza di ricerca e la debolezza dell’andare. Ma c’è anche il personaggio con la sua generativa capacità di voler soffiare sulle vele della vita, oltre ogni naufragio. Oltre tutto, oltre il tempo. Oltre l’ignoto. Andare alla ricerca di sè, dei propri desideri e pulsioni, a volte confonde, illude, entusiasma, abbassa ed esalta. Ma ci rende pur sempre veri cercatori di una realtà che ci appartiene, ci desidera e ci conquista. E ci rende autenticamente noi.