Saverio La Ruina, lo stile lieve e pudico che entra nelle sfumature dell’umano

PdT2018 libroLaruina

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CASTROVILLARI – C’è una «genealogia» una sorta di «discendenza indiretta» che colloca la poetica, la lingua e lo stile, i gesti e le ritrosie del teatro di Saverio La Ruina accando a quello di Eduardo De Filippo attore. Ne è convinta Angela Albanese che nel suo testo “Identità sotto chiave” entra nei testi e nella drammaturgia dell’attore castrovillarese, co-direttore del Festival Primavera dei Teatri, per snocciolarne l’essenza. Insieme al diretto interessato ed a Leonardo Mello e Vincenza Costantino, nel salotto del festival, si è provato a collora l’arte scenica di La Ruina in un contesto che sottolinea la dramamturgia di impegno sociale, caratterizzata dalla pucliarità, quasi maniacale, dei suoi personaggi. In una terra in cui il teatro «non esisteva» e che oggi ormai non più permettersi di «scomparire» ha detto la Costantino – c’è una posizione ben precisa di «restare al Sud come scelta artistica, di poetica e non solo di necessità». Quello compiuto da Scena Verticale e tante altre compagnie del Sud che si esibiscono in questi giorni sul palcoscenico del festival sui nuovi linguaggi della scena conotemporanea è una piccola ma significativa «rivoluzione» che «consacra nel luogo della scrittura il lavoro fragile come quello teatrale» con la evocazione di una relazione «carnale, quasi traumatica». I ricordi di una vita, le cose preziose, sembrano «sotto assedio» e si aprono «al paradosso di mostrarsi sulla scena» pur volendo rimanere sotto chiave. Il dolore che non si può dire, che non si deve dire, sono tutti nella identità dei personaggi che Saverio porta in scena. Quasi imprigionate. Come Pasqualina, bruciata viva, per la sua volontà diribellione. O Vittoria, in questa visione fortemente maschilista, che diventa «procuratrice di figli in serie ed annulla sua identità». Per non parlare di Tonino di Italianesi, che è figlio di uno smembramento tragico di questa identità che non appartiene a nessun luogo. «Saverio – come Eduardo – opera in confini strettissimi e guardando oltre ed in maniera profonda riesce a scavare nel dolore umano, entrando nelle sfumature dell’umano». Così il suo teatro è «dirompente» e sembra essere «filiazione indiretta» di quello di Eduardo portando quella idea fuori dalla Campania e al di là del millennio.