I giorni che cambiarono l’Italia, a San Basile va in scena Ulderico Pesce

Ulderico Pesce moro

Ulderico Pesce moro

“Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia” di e con Ulderico Pesce è lo spettacolo che sarà in scena sabato 27 novembre alle 18,30 all’Auditorium Lab Center. L’appuntamento teatrale è organizzato dal Comune di San Basile in collaborazione con l’associazione culturale Aprustum di Castrovillari. Ulderico Pesce, autore fra i più originali e scomodi del panorama teatrale italiano, da anni porta avanti con forza e schiettezza il suo teatro impegnato e di denuncia. “L’innaffiatore del cervello di Passannante”, “Storie di scorie: il pericolo nucleare italiano”, “FIATo sul collo: la lotta degli operai Fiat di Melfi” e “Petrolio” sono alcuni dei suoi successi con i quali l’artista lucano si è fatto apprezzare negli scorsi anni dal pubblico del comprensorio. Questa volta si cimenta con un intenso monologo sulla vicenda che nel 1978 sconvolse il nostro Paese. “Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia”, prodotto dal Centro Mediterraneo delle Arti, parte da una prospettiva diversa: quella delle famiglie dei ragazzi della scorta – i primi a cadere sulla scena di via Fani, i primi a essere dimenticati – con un lutto mai completamente elaborato. “Non l’hanno ucciso solo le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi anche dallo Stato.” Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per quarant’anni. “Un altro spettacolo su Moro? Non se ne può più” – spiega Pesce – Avete ragione, più che di spettacoli sul caso Moro c’è la necessità di sapere la verità sulla sua morte. Questo nostro lavoro vuole prima di tutto contribuire alla scoperta della verità e alla sua divulgazione. È un po’ altezzoso il fine ma le scoperte del giudice Imposimato vanno verso la costruzione di una chiara verità: Moro doveva morire, era utile bloccare la sua apertura alla sinistra”. Il titolo dello spettacolo è “moro” con la “m” minuscola a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di Aldo Moro fosse stata “scritta”, fosse cioè necessaria per bloccare il dialogo con i socialcomunisti assecondando i desideri dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri americani in Italia rappresentati da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga che, dopo la morte di Moro, ebbero una folgorante carriera e condannarono l’Italia alla “sudditanza” agli USA. Moro sente che uomini di primo piano del suo stesso partito “assecondano” la sua morte trincerati dietro “la ragion di Stato” e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leitmotiv dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”.