CASTROVILLARI – Esiste ancora il “gentil sesso”? È mai esistito veramente? O sono gli uomini che hanno addebitato alle donne una serie di cliché del tutto improbabili? Stefano Benni osserva e descrive l’universo femminile nelle sue svariate sfaccettature, rompe gli schemi con quell’immagine angelicata della donna per mostrarne la forza, l’energia, e anche la crudeltà, nella sua opera “Le Beatrici”, in scena al Teatro Sybaris sabato 7 febbraio alle 21,00. È il terzo atteso appuntamento della XVI Stagione Teatrale di Castrovillari, la prima organizzata in sinergia tra il Comune e due associazioni culturali, scelte fra le più rappresentative del territorio: Aprustum e Khoreia 2000. Lo spettacolo, tratto dall’omonimo libro pubblicato da Feltrinelli nel 2011, è una produzione Teatro Litta/Bottega Rosenguild, con Valentina Chico, Elisa Benedetta Marinoni, Beatrice Pedata, Gisella Szaniszló e Valentina Virando che sul palco del Sybaris daranno vita a cinque personaggi e cinque diversi modi di dire “donna”. Nel circo della fantasia il travestimento è d’obbligo e i cliché femminili vengono smontati dando vita a donne che scoprono la propria natura più profonda: una suora senza freni, una donna in attesa, una manager senza scrupoli, una mocciosa esibizionista, la Beatrice di Dante per nulla angelicata, una licantropa romantica. “Siamo cinque stralunate attrici di strada che giocano a portare in scena il proprio personaggio – racconta l’attrice Valentina Virando – Un gioco che in realtà serve a nascondere la vera natura che le accomuna: sono delle licantrope obbligate a calarsi in altri ruoli, a volte spietati e terrificanti, ma pur sempre riconoscibili e tranquillizzanti per il mondo in cui siamo abituati a vivere”. Un testo nato da una regia collettiva di Benni e del Collettivo Beatrici per dare vita al “dark-side di questi personaggi, rompendo i cliché nei quali ognuno di noi inciampa relazionandosi con l’universo femminile – precisa Gisella Szaniszlò del Collettivo Beatrici – Pensiamo ad esempio alla Beatrice angelicata da Dante. Benni ci restituisce la sua sensualità acerba e la sua voglia di ribellarsi alle imposizioni medioevali”. Siamo di fronte ad un modo di fare teatro graffiante e diretto, che invita a sorridere ma soprattutto a riflettere sulla complessità della figura femminile, rompendo gli schemi dell’immaginario comune. Infatti, nel rifrangersi degli specchi non si capisce più chi sogna e chi è sognato: domina l’ambiguità, percorsa da fremiti di tragicommedia e da pennellate di sapiente ironia. La messa in scena asseconda lo stile ironico e surreale che contraddistingue lo scrittore bolognese e si svolge in un mondo astratto, dove le attrici giocano al travestimento, in bilico tra i generi, cavalcando di volta in volta le punte dello sberleffo comico, i tagli di luce gelida e spietata sulla realtà, l’arrovellarsi del linguaggio nelle mode lessicali più estreme del nostro tempo, i respiri di poesia. Insieme ai personaggi, gli intermezzi creano un’atmosfera onirica, dove ogni cosa non è mai ciò che appare e ogni affermazione viene felicemente negata, non tanto per far emergere l’eterna dialettica maschile-femminile, quanto a sottolineare l’esilarante e spietato racconto della cacofonia della vita contemporanea in cui tutti siamo immersi con crescente e pericolosa assuefazione.